giornalista
scrittore
disegnatore tecnico
interprete
partigiano
antifascista
Intestazioni:
Travaglini, Carlo, (Dortmund 1905 - Milano 1990), SIUSA
Taulinger, Karl, (Dortmund 1905 - Milano 1990), SIUSA
Cocca, Vincenzo, (Dortmund 1905 - Milano 1990), SIUSA
Altre denominazioni:
Karl Taulinger
Vincenzo Cocca
Carlo Travaglini nacque a Dortmund (città della Renania Settentrionale) nel 1905, figlio di Vincenzo ed Edwige Müller (di origini tedesche). Suo padre, direttore d’orchestra, all’inizio del Novecento decise di lasciare la banda musicale militare italiana per trasferirsi in Germania e dirigere un’orchestra sinfonica militare tedesca. Travaglini crebbe a Drolshagen, un piccolo paese della Renania Settentrionale - Vestfalia, ma già intorno ai 18 anni decise di allontanarsi dalla casa paterna e rendersi indipendente, probabilmente perché insofferente alle rigidezze dell’educazione tradizionale alle quali era soggetto. Si stabilì a Olpe (nella Germania centrale) e per mantenersi e studiare, iniziò a svolgere diversi lavori, dal manovale al mandriano, sino al 1925, quando trovò un impiego stabile. Il suo sogno era quello di diventare giornalista e così dal 1928 iniziò alcune collaborazioni con i giornali locali. Nel frattempo si iscrisse all’università e nel 1935 si laureò in letteratura a Tubinga.
Nel 1935 scrisse il romanzo “Die Heiderhofs” e lo pubblicò con lo pseudonimo Karl Taulinger. Nel libro esprimeva le sue idee rispetto alle leggi razziali vigenti in Germania. Questa presa di posizione clamorosa, in una Germania in cui gli ebrei erano già da tempo sottoposti a persecuzioni e discriminazioni, esprimeva tutti i suoi sentimenti antinazisti. La pubblicazione del romanzo non passò inosservata: Travaglini attirò su di sé l'attenzione della Gestapo e fu licenziato dal quotidiano “Berliner Lokal Anzeiger”.
L’anno successivo, il 16 settembre 1936, venne arrestato perché sospettato di aver trafugato documenti politici di valore. Per questo fu condannato a 4 mesi e mezzo da scontare in un campo di concentramento. Scontata la pena, fu espulso dal Reich come “straniero indesiderato”. Espulso dal paese in cui era nato e nel quale comunque avrebbe voluto vivere, non gli restò altro da fare che trasferirsi in Italia: appena arrivato dovette svolgere il servizio militare, assolto negli alpini, al termine del quale visse per qualche tempo a Roma, dove si mantenne facendo lavori precari. Successivamente si trasferì a Milano, dove trovò impiego come disegnatore tecnico presso il reparto Avio della Magneti Marelli.
Nel settembre del 1943, mentre transitava da piazzale Loreto diretto al lavoro, vide di fronte all’Hotel Titanus, ch’era stato occupato da un comando nazista, un gruppo di donne. Incuriosito dalla strana situazione chiese che cosa stava accadendo. Scoprì che le signore cercavano i loro parenti, militari italiani catturati dai tedeschi, che erano stati deportati o in procinto di essere mandati nei campi di prigionia. Travaglini non esitò ad entrare nell’edificio per chiedere informazioni: si presentò al responsabile delle deportazioni come cittadino tedesco e fedele suddito del Reich, lavoratore presso la Magneti Marelli, un’industria impiegata per la produzione bellica nazista e riuscì convincerlo che sarebbe stato un peccato se tanta forza lavoro fosse finita nei campi di prigionia, tanto più che molti dei soldati catturati erano operai e tecnici. Il responsabile delle deportazioni spiegò a Travaglini che per far sì che i soldati restassero in Italia era necessario che le fabbriche presentassero formale richiesta di assunzione. Travaglini si recò in azienda e riuscì a procurarsi dei moduli in bianco, sia della Magneti Marelli che della Ercole Marelli e, con l’aiuto di un collega dell’ufficio del personale, iniziò a compilare i moduli con i diversi nominativi. Da quel momento e per alcuni mesi portò avanti questa rischiosa attività per far rientrare gli internati militari italiani e far ottenere ad altri l’esonero dall’invio al lavoro coatto in Germania. Non solo, mentre riconsegnava i moduli compilati all’Hotel Titanus trafugava i timbri necessari per la convalida dei documenti. Col tempo imparò anche a falsificare le firme dei rappresentanti del potere nazista in Italia, con le quali poté contraffare documenti che permisero a diversi ebrei di espatriare in Svizzera (sfuggendo così alla deportazione) e ad aiutare gli aviatori anglo-americani abbattuti nel Milanese, a trovar rifugio in terra elvetica.
Nell’ottobre del 1943 Travaglini perse il suo lavoro alla Magneti Marelli perché il reparto Avio chiuse, ma non tardò a trovare un altro impiego, questa volta presso la Ledoga, un’industria chimico-farmaceutica. Qui gli venne affidato l’incarico di interprete e di intermediario fra la società e le autorità amministrative militari germaniche, ruolo che gli consentì di contribuire alla causa antifascista.
Non pago, nei mesi successivi iniziò ad aggregarsi di volta in volta a diverse formazioni partigiane per combattere i nazisti sul campo.
Il 30 giugno 1944, mentre tornava da un viaggio con un camion della Ledoga, un fattorino dell’azienda lo avvertì che era stato scoperto e che i nazisti lo stavano cercando. Travaglini riuscì a scappare e, con una condanna a morte sulla testa, dovette fuggire sulle montagne della Bergamasca, dove decise di aggregarsi all’89ª Brigata Garibaldi (già Brigata Poletti, poi denominata Brigata Alpi Grigne), con la quale combatté sino al termine del conflitto.
Nel dopoguerra Travaglini riprese la sua vita, si dedicò unicamente alla sua famiglia e trovò lavorò presso il Touring club italiano.
Morì a Milano nel 1990.
L’anno successivo, il 16 settembre 1936, venne arrestato perché sospettato di aver trafugato documenti politici di valore. Per questo fu condannato a 4 mesi e mezzo da scontare in un campo di concentramento. Scontata la pena, fu espulso dal Reich come “straniero indesiderato”. Espulso dal paese in cui era nato e nel quale comunque avrebbe voluto vivere, non gli restò altro da fare che trasferirsi in Italia: appena arrivato dovette svolgere il servizio militare, assolto negli alpini, al termine del quale visse per qualche tempo a Roma, dove si mantenne facendo lavori precari. Successivamente si trasferì a Milano, dove trovò impiego come disegnatore tecnico presso il reparto Avio della Magneti Marelli.
Nel settembre del 1943, mentre transitava da piazzale Loreto diretto al lavoro, vide di fronte all’Hotel Titanus, ch’era stato occupato da un comando nazista, un gruppo di donne. Incuriosito dalla strana situazione chiese che cosa stava accadendo. Scoprì che le signore cercavano i loro parenti, militari italiani catturati dai tedeschi, che erano stati deportati o in procinto di essere mandati nei campi di prigionia. Travaglini non esitò ad entrare nell’edificio per chiedere informazioni: si presentò al responsabile delle deportazioni come cittadino tedesco e fedele suddito del Reich, lavoratore presso la Magneti Marelli, un’industria impiegata per la produzione bellica nazista e riuscì convincerlo che sarebbe stato un peccato se tanta forza lavoro fosse finita nei campi di prigionia, tanto più che molti dei soldati catturati erano operai e tecnici. Il responsabile delle deportazioni spiegò a Travaglini che per far sì che i soldati restassero in Italia era necessario che le fabbriche presentassero formale richiesta di assunzione. Travaglini si recò in azienda e riuscì a procurarsi dei moduli in bianco, sia della Magneti Marelli che della Ercole Marelli e, con l’aiuto di un collega dell’ufficio del personale, iniziò a compilare i moduli con i diversi nominativi. Da quel momento e per alcuni mesi portò avanti questa rischiosa attività per far rientrare gli internati militari italiani e far ottenere ad altri l’esonero dall’invio al lavoro coatto in Germania. Non solo, mentre riconsegnava i moduli compilati all’Hotel Titanus trafugava i timbri necessari per la convalida dei documenti. Col tempo imparò anche a falsificare le firme dei rappresentanti del potere nazista in Italia, con le quali poté contraffare documenti che permisero a diversi ebrei di espatriare in Svizzera (sfuggendo così alla deportazione) e ad aiutare gli aviatori anglo-americani abbattuti nel Milanese, a trovar rifugio in terra elvetica.
Nell’ottobre del 1943 Travaglini perse il suo lavoro alla Magneti Marelli perché il reparto Avio chiuse, ma non tardò a trovare un altro impiego, questa volta presso la Ledoga, un’industria chimico-farmaceutica. Qui gli venne affidato l’incarico di interprete e di intermediario fra la società e le autorità amministrative militari germaniche, ruolo che gli consentì di contribuire alla causa antifascista.
Non pago, nei mesi successivi iniziò ad aggregarsi di volta in volta a diverse formazioni partigiane per combattere i nazisti sul campo.
Il 30 giugno 1944, mentre tornava da un viaggio con un camion della Ledoga, un fattorino dell’azienda lo avvertì che era stato scoperto e che i nazisti lo stavano cercando. Travaglini riuscì a scappare e, con una condanna a morte sulla testa, dovette fuggire sulle montagne della Bergamasca, dove decise di aggregarsi all’89ª Brigata Garibaldi (già Brigata Poletti, poi denominata Brigata Alpi Grigne), con la quale combatté sino al termine del conflitto.
Nel dopoguerra Travaglini riprese la sua vita, si dedicò unicamente alla sua famiglia e trovò lavorò presso il Touring club italiano.
Morì a Milano nel 1990.
Per saperne di più:
Un partigiano anomalo: la storia e l’archivio di Carlo Travaglini - approfondimento pubblicato sul sito dell'Istituto per la storia dell'età contemporanea - ISEC, a cura di Alberto De Cristofaro
Complessi archivistici prodotti:
Travaglini Carlo (fondo)
Redazione e revisione:
Bertani Annalisa, 2023/06/13, prima redazione
Lanzini Marco, coordinatore nazionale revisione schede Rete Parri, 2023/06/13, supervisione della scheda