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Universitas di Monopoli

Sede: Monopoli (Bari)
Date di esistenza: sec. XIII - 1806

Intestazioni:
Universitas di Monopoli, Monopoli (Bari), sec. XIII - 1806, SIUSA

A partire dal sec. XI, i confini territoriali di Monopoli risultavano strettamente legati all'estensione e al numero dei feudi e casali appartenenti al monastero benedettino di Santo Stefano, eretto probabilmente nel 1085 dal normanno Goffredo I, conte di Conversano e "dominator" della città di Monopoli (cfr. G. Liuzzi, "Monaci e baroni. Storia dei feudi del territorio di Locorotondo con riferimenti a Monopoli, Fasano e Martina", Fasano, Schena, 1998, p. 17; "Istoria di Monopoli del primicerio Giuseppe Indelli, con note di D. Cosimo Tartarelli", a cura di Michele Fanizzi, Fasano, Schena, 2000, pp. 77-8).
Un privilegio del 19 maggio 1195 concesso dall'imperatore e re di Sicilia Enrico VI a favore del monastero (pubblicato in A. D'Itollo, "I più antichi documenti del libro dei privilegi dell'università di Putignano (1107-1434)", Bari, Editrice tipografica, 1989, pp. 15-27), oltre a elencare i possedimenti dell'abbazia (quali Putignano, Castro, Casaboli e l'odierna Fasano, allora denominata Santa Maria di Fasano), fornisce utili indicazioni sulle condizioni giuridiche di tale territorio e sui diritti, le immunità e le esenzioni tributarie di cui beneficiavano il monastero e le terre a esso appartenenti. I vassalli erano esentati da giudizi, servizi e tributi praticati e imposti da autorità imperiali e baronali, ed erano tenuti a rispondere di eventuali delitti commessi solo davanti alla corte del monastero attraverso i baiuli e i giudici nominati dall'abate di Santo Stefano, che comminavano le pene per tutti i misfatti compiuti, anche da forestieri, sul territorio di pertinenza del monastero; gli abitanti dei feudi non dovevano alcuna obbedienza alla giurisdizione laica ed ecclesiastica dei vescovi e non prestavano omaggio o fedeltà al conte di Conversano o a qualsiasi altro feudatario (G. Liuzzi, "Monaci e baroni" cit., pp. 18-9).
L'autonomia politica ed economica dell'abbazia, passata sotto la diretta protezione imperiale alla fine del sec. XII (G. Liuzzi, "Monaci e baroni" cit., p. 20), consentì per più di un secolo un'ordinata amministrazione dei territori soggetti che portò a un rapido sviluppo economico e all'incremento demografico della popolazione dipendente. Le prime avvisaglie della decadenza politica ed economica del monastero, e conseguentemente della sempre maggiore autonomia dei suoi feudi, risalgono ai primi anni del sec. XIV in concomitanza con la fondazione del vicino casale di Martina, dove si trasferirono numerosi vassalli di Santo Stefano allettati dall'esenzione dagli obblighi delle "corvées" e dal pagamento della "vigesima" al monastero (G. Liuzzi, "Monaci e baroni" cit., p. 28).
Negli anni successivi i frati benedettini fecero a più riprese ricorso alla Regia Corte per difendere i propri domini dalle mire espansionistiche e dai soprusi perpetrati dagli ufficiali del principato di Taranto. A causa di alcuni dissidi interni alla comunità dei monaci, il papa Giovanni XXII, con bolla del 13 giugno 1317, assegnò il convento e tutti i suoi feudi all'ordine monastico-cavalleresco di S. Giovanni di Gerusalemme (cfr. A. D'Itollo, "Note sull'origine della commenda gerosolimitana di Santo Stefano di Monopoli", in "Monopoli nel suo passato", 3, dic. 1986, pp. 60-3). La gestione amministrativa e fiscale dei feudi esercitata dalla signoria gerosolimitana risultò meno legata al territorio, limitandosi a sfruttare le risorse dei possedimenti servendosi di intermediari estranei che a volte erano in aperto contrasto con i "precettori" del monastero (G. Liuzzi, "Monaci e baroni" cit., p. 38). Nel 1381, su istanza di Niccolò Turchimanno e Pietro Garzanito, "sindaci" di Monopoli (così erano definiti gli ambasciatori dell'università), il re di Gerusalemme e di Sicilia Carlo III concesse il dimezzamento dei pesi fiscali a carico dei cittadini, già vessati a partire dal 1378 da un'incursione dei Bretoni di Giovanni Acuto ("Istoria di Monopoli" cit., pp. 228-9). Devastazioni e pestilenze portarono allo spopolamento e alla definitiva scomparsa di alcuni casali appartenenti al monastero di Santo Stefano, che giunse al culmine della decadenza quando perse il feudo di Locorotondo passato, probabilmente nel 1385, sotto il dominio del principato di Taranto.
Con il declino dell'abbazia si consolidò l'autonomia giuridica, amministrativa ed economica dell'università di Monopoli, che iniziò a nominare i propri rappresentanti senza l'intervento dei monaci: già nel 1386 il re di Napoli Ladislao ordinò con proprio diploma che l'università riunita eleggesse il mastro giurato, ufficiale addetto all'ordine pubblico, e i giudici "annuali" e "a' contratti", due dei quali erano chiamati a decidere le cause insieme al baglivo ("Istoria di Monopoli" cit., p. 233), funzionario di nomina regia che svolgeva compiti di polizia ed esigeva le multe da coloro che avessero trasgredito ai "bandi baiulari". Nel 1399 il re Ladislao concesse cinque privilegi per confermare precedenti diritti: si disponeva tra l'altro l'autonoma elezione da parte dell'università dei "cavallari", ossia custodi, della marina e l'assegnazione in tempo di fiera al mastro giurato dell'ufficio di "mastro di fiera" ("Istoria di Monopoli" cit., pp. 240-1). Tra il 1401 e il 1412 la città fu sotto il dominio della regina Margherita, madre del re Ladislao e contessa di Gravina, che confermò i privilegi precedentemente concessi ("Istoria di Monopoli" cit., pp. 244-5). Il 15 febbraio 1404 si riunì il parlamento generale dell'università per promulgare vari capitoli riguardanti le pene per il transito di animali nella marina ("Istoria di Monopoli" cit., p. 245). Nel 1414 la regina Giovanna, succeduta a Ladislao, con privilegio del 1° ottobre vietò in perpetuo la vendita della città e concesse un indulto ai responsabili dell'assalto al castello avvenuto per affermare la libertà cittadina dalle oppressioni ("Istoria di Monopoli" cit., pp. 247-9). Con successivo privilegio dell'8 agosto 1434 la stessa Giovanna ribadì il divieto di transito degli animali in prossimità della fascia marittima rientrante nel territorio cittadino: il divieto interessava gli abitanti della terra di Martina e di vari casali e castelli quali Cisternino, Locorotondo, Putignano e Fasano ("Istoria di Monopoli" cit., p. 257; "La Selva d'oro del Cirullo monopolitano", a cura di Domenica Porcaro Massafra e Cristina Anna Maria Guarnieri, Bari, Edipuglia, 2002, p. 29). La questione dei confini del vasto agro monopolitano, caratterizzato dalla promiscuità con alcune terre confinanti, si protraeva sin dal XIII sec. provocando continui conflitti tra le università interessate (in particolare, oltre a Monopoli, Martina, Castellana, Locorotondo, Cisternino e Fasano), che nel 1485 stipularono un accordo nel tentativo di procedere a una chiara delimitazione del territorio: a Monopoli fu assegnata l'intera giurisdizione della sua marina e quella della bagliva sulla selva. La vertenza fu ulteriormente regolamentata nel 1566 con la vendita alle università contendenti, in cambio di 16.000 ducati, dei diritti della bagliva, della "fida" e della "diffida" detenuti sul territorio dal demanio regio ("La Selva d'oro" cit., p. 30).
Nel sec. XVI il governo dell'università di Monopoli era affidato alle due "piazze" (denominate anche "seggi" o "sedili") dei nobili e dei popolari; il sedile dei nobili era definito "aperto" perché, su ordine sovrano anche senza il consenso dei suoi membri, potevano accedervi nuovi pretendenti. Il Parlamento era composto da tutti i cittadini maschi adulti e si riuniva, solitamente nella chiesa matrice, per eleggere gli amministratori dell'università ("La Selva d'oro" cit., pp. 18-20). Nei capitoli redatti il 28 giugno 1528 si consentiva ai forestieri l'accesso ai pubblici uffici, ma solo dopo venti anni di residenza nella città, mentre si riservavano ai cittadini le cariche ecclesiastiche secolari e gli uffici del mastro d'atti della corte e del capitano inviato a esercitare giustizia nell'università di Cisternino ("La Selva d'oro" cit., pp. 26-7). Nel 1553 fu introdotto un sistema misto di elezione e di sorteggio che assegnava al Parlamento la nomina di 54 decurioni triennali: questi, estratti in blocchi di sei per quadrimestre, affiancavano il sindaco nel governo cittadino ("La Selva d'oro" cit., p. 20). Per definire l'incerta regolamentazione dell'istituto parlamentare, nel 1581 il regio consigliere Gaspare Pinario riformò nuovamente gli statuti della città stabilendo che i ceti dei nobili e dei popolari nominassero un proprio rappresentante alla presenza del governatore. In seguito a tali ordinamenti, nel 1583 furono compilate 2 liste alle quali furono ascritte 161 famiglie: nella prima rientrarono le famiglie nobili con almeno 1.000 ducati di rendita, nella seconda le famiglie popolari con un reddito non inferiore ai 600 ducati; attraverso successive selezioni, fu ridotto a 24 il numero dei decurioni ("La Selva d'oro" cit., p. 20). La riforma non riuscì a evitare l'illegittima e sempre più frequente pratica di riconfermare gli amministratori uscenti, pratica infine legalizzata nel 1644 dal presidente della Sommaria Garzya che istituì il decurionato perpetuo composto dai capi di 66 famiglie ("La Selva d'oro" cit., pp. 20-1); tale sistema, impedendo l'avvicendamento degli amministratori, poneva seri problemi di surrogazione delle famiglie estinte e limitava fortemente la rappresentanza della piazza dei popolari. Nel 1647, all'indomani della rivolta di Masaniello, il popolo monopolitano insorse ottenendo per breve tempo (dal 6 agosto all'8 ottobre) il ripristino del sistema paritario di rappresentanza dei due ceti; nel corso dei tumulti fu assassinato il governatore Tommaso di Gennaro ("Istoria di Monopoli" cit., pp. 534-8). Un documento risalente alla seconda metà del sec. XVIII (probabilmente tra il 1748 e il 1780), sottoscritto da sei "passati sindaci" dell'università di Monopoli, sembrerebbe ricondurre ai disordini del 1647 la perdita di numerose schede notarili: si attesta infatti che "li popolari, che fecero detto tumulto, bruciarono non solo l'archivio di questa Regia corte, ma ben anche tutte le pubbliche scritture, che capitarono nelle di loro mani, fra le quali molti protocolli de' notari, de' quali se ne trova estrema mancanza" ("La Selva d'oro" cit., p. 96; il documento è conservato in Archivio unico diocesano di Monopoli, Archivio della Curia vescovile - Monopoli, Miscellanea, fasc. 18).


Condizione giuridica:
pubblico

Tipologia del soggetto produttore:
preunitario

Soggetti produttori:
Comune di Monopoli, successore

Profili istituzionali collegati:
Universitas (Regno di Napoli), sec. XIII - 1806

Complessi archivistici prodotti:
Amministrazione (serie)
Atti antichi (sub-fondo / sezione)
Comune di Monopoli (fondo)
Libro rosso (serie)
Pergamene (serie)
Sezione I (1536-1924) (sub-fondo / sezione)
Statuti e privilegi (serie)


Redazione e revisione:
Mincuzzi Antonella - supervisore Rita Silvestri, 2015/09/01, prima redazione


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