Tasti di scelta rapida del sito: Menu principale | Corpo della pagina | Vai alla colonna di sinistra

Colonna con sottomenu di navigazione


Contenuto della pagina


Guida on-line agli archivi non statali
Menu di navigazione

Home » Ricerca guidata » Soggetti produttori - Enti » Soggetto produttore - Ente

Comunità ebraica di Urbino

Sede: Urbino (Pesaro-Urbino)
Date di esistenza: sec. XIV -

Intestazioni:
Comunità ebraica di Urbino, Urbino (Pesaro-Urbino), sec. XIV -, SIUSA

Ad Urbino, capitale del Montefeltro, la presenza ebraica documentata risale a quel maestro Daniele, ebreo venuto da Viterbo, nei primi del 1300, per esercitarvi il commercio e per aprirvi un banco di prestiti. Con molta probabilità fu lo stesso signore della città a chiamare un ebreo prestatore, poiché il bisogno di credito, col rinascere delle attività economiche, era andato aumentando, tanto che non vi era cittadina delle Marche che non ne avesse uno.
Attorno al prestatore si formò a poco a poco una vera comunità dedita al commercio dell'usato, ma anche a quello dei tessuti lavorati, dei metalli preziosi, delle pelli, nonché della lavorazione dei prodotti stessi, come la concia e la lavorazione del cuoio e la confezione degli abiti. Gli ebrei erano anche acquirenti di grosse partite di carta presso la cartiera di Fermignano, dove loro stessi erano impegnati a redigere i registri necessari per l'esercizio dei banchi di prestito.
Ai discendenti di maestro Daniele, il conte Guidantonio da Montefeltro (1404-1443) rinnovò i capitoli e i privilegi e così, dopo di lui, il figlio naturale Federico da Montefeltro (1444-1482). Gli ebrei non solo abitavano in qualsiasi contrada della città, ma potevano acquistare proprietà, e perfino la Curia concedeva loro in affitto dei terreni.
Questo atteggiamento tollerante, che diventò stima e simpatia con Federico da Montefeltro, fece sì che la comunità ebraica di Urbino diventasse sempre più numerosa e attiva in più campi, soprattutto in quello commerciale e bancario. Fra gli ebrei locali, Beniamino, detto Guglielmo da Pesaro, era "richiestissimo maestro di danza" nelle corti di Pesaro, Urbino, Milano e perfino Napoli; famosi ceramisti erano i Moses Fano e i vari Adulai, che portarono ad Urbino e a Pesaro i colori azzurri delle azuleios spagnole. Anche la professione medica rientrò nelle loro attività: l'unica, tra le arti liberali, ad essere permessa agli ebrei, data la loro conoscenza della lingua araba per consultare i testi di medicina direttamente in lingua originale. Infatti, bisogna ricordare che nella biblioteca del duca Federico, famosa per essere composta unicamente di testi manoscritti, vi erano ben 73 volumi scritti in ebraico fra bibbie e opere classiche.
Gli ebrei, dunque, in questo periodo vivevano in pace e prosperità, professando liberamente la propria fede. Tuttavia, l'ondata di odio antiebraico investì anche queste terre, portando inevitabilmente a sostituire il prestito ebraico minuto. Sorsero così i Monti di pietà: a Pesaro ad opera di Alessandro Sforza, insieme al comune e al vescovo Benedetti; ad Urbino nel 1468, a firma della giovane duchessa Battista Sforza e di fra' Domenico da Leonessa.
Dopo l'unificazione del ducato di Urbino con la signoria di Pesaro sotto Francesco Maria I Della Rovere, con Guidobaldo II cominciò per gli ebrei un periodo di grande incertezza, perché a severi bandi di condanna se ne alternarono altri di tolleranza e protezione. Il nuovo duca spostò la sua corte a Pesaro e da ciò cominciò il declino di Urbino capitale e la sorte degli urbinati, ebrei e non, fu comune. L'atteggiamento verso gli ebrei del nuovo duca, eletto comandante in capo delle forze della Chiesa, rispecchiava quello mutevole dei vari papi. Papa Giulio III, ad esempio, si distinse subito per la condanna delle conversioni forzate dei bambini ebrei, allora molto frequenti, e fissò per i trasgressori una pena di 1000 scudi; volle inoltre accanto a sé come medico Amato Lusitano, marrano portoghese, presente a Pesaro nel 1555. Nonostante tanta equanime liberalità, egli decretò la condanna al rogo dei Talmud, i testi sacri ebraici che contengono la Mishnà, il codice dell'alleanza. Decine di carri colmi di volumi manoscritti e di preziose nuove stampe andarono così distrutti. L'ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II Della Rovere, dette agli ebrei del ducato sessant'anni di relativa tranquillità, che terminò con la sua morte avvenuta il 28 aprile 1631.
Il 12 maggio dello stesso anno papa Urbano VIII realizzò l'annessione del ducato allo Stato della Chiesa: Urbino capitale, già da tempo abbandonata dalla corte, si avviò alla decadenza e cominciò così un lento, ma continuo esodo degli ebrei verso terre più sicure tanto che il loro numero in città scese a poco più di cento. Nel consiglio comunale del primo agosto del 1633, vennero proposti cinque luoghi per l'ubicazione del ghetto, scegliendo il vicolo in cui maggiore era la concentrazione ebraica e dove persisteva la vecchia sinagoga.
Il 6 agosto del 1755, papa Benedetto XIV, presa a cuore la sorte della comunità ebraica di Urbino, ormai in completa decadenza e oberata di debiti, istituì una tassa detta "cassetta di Urbino", a pedaggio sui mercanti che partecipavano alla fiera di Senigallia. I pontefici successivi, a partire da Clemente XIII, la ripartirono anche ad altri ghetti (Senigallia, Pesaro e Ancona), in quote diverse.
Nel 1797, con l'arrivo dei francesi, le porte del ghetto furono abbattute e bruciate. Due anni dopo, ritirati i francesi, scoppiarono tumulti: le vie del ghetto furono invase, devastate e saccheggiate. Col ritorno dei francesi e la nascita del Regno d'Italia, Urbino entrò a far parte del Dipartimento del Metauro. Al rabbino Salomone Ancona giunsero le stesse direttive indirizzate "Alli Sigg. Parochi del Comune di Urbino" e l'aiutante maggiore arruolò nella guardia nazionale del cantone di Urbino anche i giovani ebrei.
Con la Restaurazione dello Stato della Chiesa ovunque ritornarono i ghetti e si rifecero i portoni. A Urbino ancora per dieci anni l'arcivescovo della città, monsignor Ranaldi, cercò di rimandare tale evento, nonostante le ripetute sollecitazioni del papa. Ancora nel 1825 lo stesso Ranaldi inviava attestati e testimonianze al papa Leone XII in difesa degli ebrei della città, ma l'anno successivo dovette cedere alle insistenti richieste e certificare che "il ghetto di questa città è composto di cinquantasei individui", tra uomini e donne, come risulta dall'elenco presentato dal Maestro dell'Israelitica Università e che "il portinaio cristiano addetto all'apertura e chiusura delle porte del ghetto ha di nuovo emolumento scudi nove".
Con l'annessione di Urbino al Regno d'Italia, ben tre ebrei furono eletti nel primo consiglio della città, con 88 e 90 voti: gli ebrei allora erano 181, dei quali solo 43 votanti. Nel 1930 in base la legge Falco tutte le piccole comunità ebraiche marchigiane vennero sottoposte a quella di Ancona.
Molte lapidi nella città ricordano i generosi lasciti delle famiglie ebraiche a istituti di beneficenza, a cominciare da Consolo Consoli, la cui famiglia giunse da San Lorenzo in Campo nel 1633: egli lasciò nel 1810 una casa e un terreno ai poveri del ghetto e della città; Placido Coen figura fra i fondatori e finanziatori nonché presidente, dell'asilo d'infanzia. Valerio Coen, e successivamente i suoi figli Angelo ed Eugenio, destinarono, nel 1921, una rendita alla Villa del popolo, colonia elioterapica gestita dall'asilo stesso; poi Angelo Moscati donò al Comune, nel 1934, la chiesetta di Loreto con il colle annesso perché destinato a parco delle Rimembranze, in memoria dei caduti di guerra. Il suo avo materno, Gioacchino Fiorentini, è invece ricordato sia nell'asilo d'infanzia Valerio, sia in una lapide posta nel nartece della chiesa dei Cappuccini, sul colle caro a Pascoli, poiché nel 1869 contribuì a ristrutturare, come ospizio per i vecchi, l'ex convento: alla sua morte, nel 1892, lasciò alle istituzioni di beneficenza cittadine cinquemila lire.
Negli anni delle leggi razziali e dell'occupazione tedesca, i nipoti del ghetto raccolsero i frutti dell'inserimento nella vita locale: abbattuto il ghetto, non ci furono casi di delazione, anche se tutti gli urbinati conoscevano i loro rifugi. Anche gli ebrei stranieri di passaggio furono ospitati, nascosti o aiutati a fuggire, forniti di documenti: conventi, chiese e case coloniche spesso aprirono loro le porte.
Alle cinque del pomeriggio del 7 agosto 1944, proprio pochi giorni prima della Liberazione, avvenuta il 28 agosto, una decina di ebrei, ospitati sia in ospedale sia nella vicina Fermignano, vennero rastrellati dalle S.S. e condotti a Forlì, dove il 5 settembre, furono fucilati gli uomini e il 17 le donne.


Tipologia del soggetto produttore:
ente e associazione di culto acattolico

Profili istituzionali collegati:
Comunità ebraica, sec. XI -

Complessi archivistici prodotti:
Comunità ebraica di Urbino (fondo)


Bibliografia:
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER LE MARCHE - ARCHIVIO DI STATO DI ANCONA, Ebrei nelle Marche. Fonti e ricerche (secc. XV - XIX), a cura di L. ANDREONI, Ancona, Il lavoro editoriale, 2012

Redazione e revisione:
Guidi Letizia, 2008/08/10, prima redazione


icona top