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Fabbriceria, sec. XI -

LE ORIGINI
Il termine latino "fabrica" indica l'edificio di interesse pubblico. Nel contesto ecclesiastico, la fabbriceria è l'organo preposto all'amministrazione del patrimonio destinato alla costruzione e alla manutenzione dell'edificio sacro. Dato che l'edificio esiste prima di tutto per l'esercizio del culto, talvolta la fabbriceria si occupa anche dei bisogni del culto stesso (vesti, illuminazione, libri liturgici, musica).
Le origini di tale ente (detto "fabbriceria" o "fabbrica" in Italia settentrionale, "opera" in Toscana e Umbria, "cappella" nel napoletano, "maremma" in Sicilia) vengono fatte risalire alla portio fabricae o quarta fabricae, la frazione delle rendite ecclesiastiche che la legislazione del V secolo assegnava alle necessità materiali del culto. Nell'alto medioevo gli obblighi relativi alla manutenzione degli edifici sacri passarono generalmente a colui che godeva del beneficio (onus fabricae). Questa fase - detta anche del beneficium indistinctum - si concluse se e quando si costituì una massa di beni (patrimonium fabricae) destinata specificamente al cantiere, separata da quella che serviva al mantenimento del beneficiato (beneficium distinctum). Tale esito (possibile, ma non inevitabile) fu favorito da un lato dal declino della vita comune del clero e dalla suddivisione del patrimonio delle chiese in prebende individuali, cosa che richiese, fin dall'XI secolo, l'individuazione del settore del patrimonio destinato specificamente alla fabbrica; dall'altro lato, dall'esistenza di un'organizzazione della popolazione che riconosceva nell'edificio sacro un importante elemento della propria identità civica e che intendeva per questo partecipare alla sua gestione.
Il processo che portò alla costituzione della fabbriceria come persona giuridica, titolare del patrimonio ed avente un proprio consiglio di amministrazione (e talora uno specifico fondo archivistico), non fu né scontato, né uniforme, né obbligatorio; la fase di passaggio fu anzi densa di incertezze ed ebbe durata variabile, generando esiti differenziati dal punto di vista istituzionale. Elemento unificatore fu il fatto che, nel momento in cui le autorità civili o i singoli fedeli destinavano offerte e lasciti ad una determinata chiesa (cattedrale, parrocchiale o devozionale), desideravano anche che la gestione del patrimonio che così veniva formato o accresciuto fosse oculata; crebbe dunque il desiderio di condizionare l'amministrazione di tali beni, con conseguenti riflessi sui modelli edilizi delle costruzioni, sulla committenza artistica e spesso anche sulle forme devozionali. A capo delle fabbricerie si insediarono così laici detti a seconda dei casi "procuratori", "provveditori", "ricevitori", "rettori", "maestri", "tesorieri", "operai" o "fabbricieri".
Il diritto canonico riconobbe l'esistenza di fabbricerie dotate di un loro profilo distinto fin dalla prima metà del XIII secolo (decretali di Onorio III e Gregorio IX), ma non cessò di contestare il grado di autonomia che il laicato si era assunto nella loro gestione; nella stessa linea si collocò il Concilio di Trento (sessione XXII, canone 9), che chiese fosse comunque riconosciuto il dovere di rendere conto dell'amministrazione all'ordinario diocesano.

L'ETÀ MODERNA E CONTEMPORANEA.
Già durante l'età moderna il controllo delle fabbricerie era stato assunto dalle autorità municipali, e andò così perduta la rappresentatività della cittadinanza in quanto tale. Successivamente fu lo Stato moderno a dettare legge in materia, costituendo un diritto civile parallelo a quello canonico (il quale cercava, spesso vanamente, di ricondurre alla direzione dei superiori ecclesiastici gli organi di controllo della fabbrica).
Le leggi rivoluzionarie francesi ordinarono la messa in vendita prima degli immobili e poi anche dei patrimoni mobiliari delle fabbricerie, considerati beni nazionali. Con le leggi napoleoniche conseguenti al Concordato del 1801 le fabbricerie furono invece ristabilite, ma prevedendo una disciplina giuridica indipendente da quella canonica, con limitata partecipazione dell'autorità diocesana o parrocchiale e affidamento sostanziale della sorveglianza alle autorità civili. Anche gli Stati italiani dell'epoca introdussero tali norme, che rimasero generalmente in vigore nel periodo successivo (in particolare nel Lombardo-Veneto), pur rimanendo da un caso all'altro situazioni molto differenziate e ambigue.
Il Codice di Diritto Canonico del 1917 confermò alle fabbricerie la possibilità di esistere autonomamente, in modo distinto rispetto all'ente-chiesa, affidando però la nomina dei fabbricieri all'ordinario diocesano. Il Concordato del 1929 assecondò questa impostazione, vietando espressamente alle fabbricerie l'intromissione nel culto: «i consigli d'amministrazione, dovunque esistano e qualunque sia la loro denominazione, anche se composti totalmente o in maggioranza di laici, non dovranno ingerirsi nei servizi di culto e la nomina dei componenti dovrà essere fatta d'intesa con l'autorità ecclesiastica» (art. 29).
Si aprì in seguito un dibattito in merito al fatto se il Concordato avesse o meno causato la perdita della personalità giuridica delle fabbricerie; conseguentemente si distinse tra i casi di fabbriceria vera e propria, dove esisteva un consiglio con voto deliberativo nell'amministrazione dei beni, e quelli in cui vi erano semplici commissioni consultive dell'ordinario diocesano, del parroco o del rettore. Analogamente i canoni 1279 e 1280 del nuovo Codice di Diritto Canonico prevedono che il vescovo o il rettore siano gli amministratori unici dell'ente-chiesa, coadiuvati dall'Ufficio per gli affari economici; si fa però una deroga per le fabbricerie esistenti, per le quali è in carica il consiglio della fabbrica, fermo restando che la rappresentanza legale è del vescovo o del rettore.


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Bibliografia:
A. BERTOLA, Fabbrica e Fabbriceria, in Enciclopedia Cattolica, V, Città del Vaticano 1950, coll. 936-938
R. NAZ, Fabrique, in Dictionnaire de Droit Canonique, V, Paris 1953, coll. 791-798
M. MORESCO, Fabbriceria, in Novissimo Digesto italiano, VI, Torino 1960, 1110-1115
L. CHIAPPETTA, Prontuario di diritto canonico e concordatario, Roma 1994, 214
Opera. Carattere e ruolo delle fabbriche cittadine fino all'inizio dell'Età Moderna, atti della tavola rotonda, Villa I Tatti, Firenze, 3 aprile 1991, a cura di M. HAINES - L. RICCETTI, Firenze 1996 (si veda in particolare l'introduzione, pp. IX-XXIII, con bibliografia)

Redazione e revisione:
Curzel Emanuele, 2007/08, prima redazione


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