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Consiglio comunitativo delle ville infeudate (Regno di Sardegna), 1771 - 1848

L'ordinamento politico amministrativo delle città sarde in età spagnola (XVI - XVII secolo) è un'eredità della conquista catalano-aragonese. Le istituzioni cittadine sono infatti modellate sul regime municipale di tipo catalano-barcellonese e la struttura politica e amministrativa municipale rimase sostanzialmente identica a quella del XIV e XV secolo: non venne praticamente alterata sino alla riforma del 1771.
Un preciso riferimento alla suddivisione amministrativa dell'isola in città regie, baronie e incontrade si ha nella relazione che il visitatore generale del regno, il canonico Martin Carrillo, inviò al re Filippo III di Spagna nel 1611. La relazione riportava nel Regnum Sardiniae sette città reali: Cagliari, Iglesias, Sassari, Oristano, Alghero, Castellaragonese, Bosa; 10 "titulos" (il ducato di Mandas, i marchesati di Oristano, Terranova, Villasor, Quirra, Laconi, le contee del Goceano, Sedilo, Cuglieri, il viscontado di Sanluri) divisi in 27 incontrade e 25 baronie ciascuna delle quali aveva un'estensione geografica definita e risultava costituita da un certo numero di ville infeudate.
Solo nel 1771 si realizzò l'istituzione dei consigli comunitativi, prime vere forme riconosciute di rappresentanza municipale delle comunità nel Regnum Sardiniae.
La riforma fu attuata con l'editto del 24 settembre 1771, promulgato a seguito della visita ricognitiva del vicerè Hallot des Hayes nella primavera del 1770, sotto la sovranità di Carlo Emanuele III e il ministero degli per gli affari di Sardegna, retto dal conte Giambattista Lorenzo Bogino.
I consigli comunitativi delle ville infeudate sostituirono di fatto le antiche assemblee dei capifamiglia che si radunavano nelle piazze con procedimento consuetudinario e informale per discutere e risolvere i problemi della comunità. Fino ad allora non esisteva un vero e proprio organo di rappresentanza delle comunità rurali. I Consigli generali delle ville ricordati in qualche fonte non avevano alcun riconoscimento ufficiale e la loro composizione era quanto mai varia. La vita dei vassalli era regolata dalla volontà del feudatario sia direttamente sia attraverso i suoi rappresentanti (podatario e ufficiale di giustizia); un notevole potere era anche esercitato dal clero, e soprattutto dai parroci perché beneficiari dei proventi delle decime ecclesiastiche. Solo in casi particolari e con consenso baronale gli abitanti della villa potevano eleggere un loro procuratore o sindaco per farsi portavoce di comuni richieste o doglianze presso le autorità.
Con la riforma del 1771 si stabiliva che ogni villa di almeno 40 fuochi o famiglie dovesse avere un Consiglio comunitativo eletto da tutti i capi di casa. Il numero dei consiglieri variava in rapporto alla consistenza demografica delle ville: 7 nelle comunità con oltre 200 fuochi, 5 in quelle da 100 a 200 e 3 in quelle da 40 a 100 fuochi. La popolazione era divisa in tre ordini: primo, mezzano e infimo. Alla prima categoria appartenevano i cosiddetti "prinzipales": nobili e cavalieri, professionisti laureati, ufficiali di giustizia, ufficiali e sergenti delle truppe miliziane di cavalleria e fanteria e ricchi proprietari; alla seconda i produttori che coltivassero un certo numero di starelli di terra e possedessero uno o più gioghi di buoi; alla terza i meno abbienti e i nullatenenti. Il primo votato della prima classe aveva la qualifica di sindaco e durava in carica un anno; non poteva essere rieletto se non dopo un periodo uguale al tempo trascorso nel Consiglio. L'anno successivo era sostituito dal primo dei consiglieri della terza classe con un sistema alternato di rotazione in cui a turno entravano i rappresentanti di tutte le categorie. Tra i requisiti per essere eletti vi era l'età, non inferiore ai 30 anni. I consiglieri dovevano essere "... noti per probità e buon discernimento, zelanti del pubblico bene, non idioti per quanto possibile"; inoltre non dovevano avere liti pendenti con il Comune, ed era necessario "che non fossero banditi o criminali processati". Potevano essere eletti anche i non nativi purché fossero residenti nella villa di elezione da almeno 10 anni.
Le competenze del Consiglio andavano dalla ripartizione delle imposte all'amministrazione e tutela dei beni comunali, al controllo sulla esecuzione dei comandamenti personali, all'esazione delle quote del donativo dovuto al sovrano, all'esecuzione di opere pubbliche, all'assegnazione dei lotti nelle vidazzoni (la parte fertile delle terre messa a disposizione, in comunione gratuita, dei contadini per la semina dei cereali), alla pubblicazione dei ruoli d'imposta, alla tenuta dell'archivio. Per le deliberazioni di particolare importanza era richiesto il voto del Consiglio raddoppiato.
Il sindaco godeva di uno stipendio; tutti i consiglieri erano dichiarati pubblici ufficiali e posti sotto la protezione dell'autorità regia. Le riunioni del Consiglio avvenivano alla presenza del ministro di giustizia baronale, il quale, però, non poteva interferire nelle discussioni né partecipare alle votazioni. Alla elezione del Consiglio concorreva la comunità intera.
Lo stesso editto, Capo II, artt. 29 e 37 stabilì l'obbligo per ciascuna comunità "di formarsi un archivio per riporre le scritture ad essa appartenenti" e affidò al segretario il compito di "formarne l'inventario e l'indice".
Data fondamentale per l'amministrazione e la politica isolana fu ancora il novembre 1847 quando le istituzioni sarde avanzarono la richiesta della "fusione perfetta dei territori isolani con gli Stati di terraferma piemontesi"; richiesta, accolta da Carlo Alberto il 30 novembre 1847, che decretò la fine dell'antico Regnum Sardiniae con le sue leggi e ordinamenti.
Ciò comportò una radicale trasformazione istituzionale che pose fine ai particolarismi locali e alla cessazione della distinzione tra comunità rurali (ville infeudate) e città regie.
Con il R. D. n. 295 del 7 ottobre 1848 fu varata, poi, la riforma della legge comunale e provinciale in Sardegna che, istituendo un nuovo ordinamento comunale valido per tutti i territori del Regno di Sardegna, rappresentò, di fatto, l'atto di nascita del comune moderno nell'Isola. Questa legge sarà ripresa nel 1859 da Rattazzi in un provvedimento che ridefinì la struttura amministrativa statale e sarà incorporata, con poche modifiche, nella Legge per l'unificazione amministrativa del Regno del 1865.


Profili istituzionali collegati:
Consiglio comunale delle città regie (Regno di Sardegna), sec. XIV primo quarto - 1848, collegato

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Bibliografia:
C. SOLE, La Sardegna sabauda nel Settecento, Chiarella, Sassari, 1984
G. SORGIA, La Sardegna spagnola, Chiarella, Sassari, 1987
B. ANATRA - A. MATTONE - R. TURTAS, L'Età Moderna, Dagli aragonesi alla fine del dominio spagnolo, Milano, Jaca Book, 1989
F. C. CASULA, Dizionario storico sardo, C. Delfino, Sassari, 2001
M. BRIGAGLIA - A. MASTINO - G. G. ORTU (a cura di), Storia della Sardegna, 2. Dal Settecento ad oggi, Editori Laterza, Bari, 2006

Redazione e revisione:
Mura Simonetta, 2007/04, prima redazione


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