Un preciso riferimento alla suddivisione amministrativa dell'isola in città regie, baronie e incontrade si ha nella relazione che il Visitatore Generale del Regno, il canonico Martin Carrillo, inviò al re Filippo III di Spagna nel 1611. La relazione riportava nel Regnum Sardiniae sette Città Regie: Cagliari (dal 1327), Villa di Chiesa - Iglesias (dal 1324), Sassari (dal 1323), Oristano (1479), Alghero (dal 1353), Castellaragonese - Castelsardo (dal 1448), Bosa (dal 1556); 10 "titulos" (il ducato di Mandas, i marchesati di Oristano, Terranova, Villasor, Quirra, Laconi, le contee del Goceano, Sedilo, Cuglieri, il viscontado di Sanluri) divisi in 27 incontrade e 25 baronie ciascuna delle quali aveva un'estensione geografica definita e risultava costituita da un certo numero di ville infeudate.
Solo nel 1771 si realizzò l'istituzione dei Consigli Comunitativi, prime vere forme riconosciute di rappresentanza municipale delle comunità nel Regnum Sardiniae.
La riforma fu attuata con l'Editto del 24 settembre 1771, promulgato a seguito della visita ricognitiva del vicerè Hallot des Hayes nella primavera del 1770, sotto la sovranità di Carlo Emanuele III e il ministero per gli Affari di Sardegna, retto dal conte Giambattista Lorenzo Bogino.
Per quanto concerneva l'amministrazione delle Città regie l'editto riduceva da cinque a tre le classi dei cittadini eleggibili: la prima era formata da cavalieri e laureati, la seconda da notai, procuratori, negozianti ed altri che, potendo contare su adeguate rendite, vivevano "civilmente" cioè erano considerati di condizione agiata, la terza da notai e procuratori che aspiravano a passare alla categoria superiore, e da mercanti, bottegai, professionisti esercenti arti liberali o "oneste", con esclusione, dunque, degli artigiani e agricoltori, che esercitavano attività manuali, all'epoca considerate "arti vili". Ogni classe era rappresentata da una lista di 15 persone; a Cagliari e a Sassari il Consiglio comprendeva nove persone, nelle altre città sei. I primi tre (o due nelle città minori) di ogni lista in ordine di anzianità costituivano il Consiglio. Abolita ogni estrazione a sorte mediante "imbussolamento" o "insaculaciò" (riconosciuta da antichi privilegi concessi alle città sin dal XIV secolo dai sovrani catalano - aragonesi), la nomina avveniva per rotazione annuale secondo l'ordine di lista: ogni anno il primo consigliere di ciascuna classe scadeva dal mandato, era iscritto in coda alla propria lista ed era sostituito da chi lo seguiva nell'ordine, e così via di anno in anno. Nel caso in cui veniva a mancare un nominativo, la sostituzione avveniva con la presentazione di una terna di persone da parte dei consiglieri in carica della rispettiva classe, e la scelta era di pertinenza dell'intero Consiglio.
I consiglieri in carica avevano uno stipendio; l'accettazione della nomina era obbligatoria salvo i casi di legittimo impedimento. Le votazioni avvenivano a maggioranza; in caso di parità avevano diritto di voto anche i tre consiglieri in carica l'anno precedente e decaduti. Quando si deliberavano ipoteche, vendite, contratti, spese rilevanti e straordinarie, la votazione avveniva col consenso del viceré, a Consiglio raddoppiato con il concorso di altri tre (o due) consiglieri di ciascuna classe secondo l'ordine di precedenza nelle rispettive liste. Il Consiglio raddoppiato veniva così a sostituire i precedenti Consigli generali e Consigli particolari previsti dall'antico ordinamento per le deliberazioni più importanti.
Con le nuove disposizioni era abolito il sorteggio per la nomina degli impieghi amministrativi delle città riservati ai "matricolati" o iscritti alle liste (obriere, clavario o tesoriere, padre d'orfani, capitano del porto, capitano d'artiglieria, veedore di polizia ecc.); la loro scelta avveniva per terne su proposta del Consiglio con l'approvazione del viceré. Restavano di esclusiva nomina regia le importanti cariche di mostazzaffo (l'amostassen spagnolo) o soprintendente all'annona e ai mercati, e di veghiere o vicario, responsabile della giurisdizione civile e criminale riservata alla città.
Data fondamentale per l'amministrazione e la politica isolana fu ancora il novembre 1847 quando le istituzioni sarde avanzarono la richiesta della "fusione perfetta dei territori isolani con gli Stati di terraferma piemontesi"; richiesta, accolta da Carlo Alberto il 30 novembre 1847, che decretò la fine dell'antico Regnum Sardiniae con le sue leggi e ordinamenti.
Ciò comportò una radicale trasformazione istituzionale che pose fine ai particolarismi locali e alla cessazione della distinzione tra comunità rurali (ville infeudate) e città regie.
Con il r. d. n. 295 del 7 ottobre 1848 fu varata, poi, la Riforma della legge comunale e provinciale in Sardegna che, istituendo un nuovo ordinamento comunale valido per tutti i territori del Regno di Sardegna, rappresentò, di fatto, l'atto di nascita del comune moderno nell'Isola. Questa legge sarà ripresa nel 1859 da Rattazzi in un provvedimento che ridefinì la struttura amministrativa statale e sarà incorporata, con poche modifiche, nella Legge per l'unificazione amministrativa del Regno del 1865.
La riforma fu attuata con l'Editto del 24 settembre 1771, promulgato a seguito della visita ricognitiva del vicerè Hallot des Hayes nella primavera del 1770, sotto la sovranità di Carlo Emanuele III e il ministero per gli Affari di Sardegna, retto dal conte Giambattista Lorenzo Bogino.
Per quanto concerneva l'amministrazione delle Città regie l'editto riduceva da cinque a tre le classi dei cittadini eleggibili: la prima era formata da cavalieri e laureati, la seconda da notai, procuratori, negozianti ed altri che, potendo contare su adeguate rendite, vivevano "civilmente" cioè erano considerati di condizione agiata, la terza da notai e procuratori che aspiravano a passare alla categoria superiore, e da mercanti, bottegai, professionisti esercenti arti liberali o "oneste", con esclusione, dunque, degli artigiani e agricoltori, che esercitavano attività manuali, all'epoca considerate "arti vili". Ogni classe era rappresentata da una lista di 15 persone; a Cagliari e a Sassari il Consiglio comprendeva nove persone, nelle altre città sei. I primi tre (o due nelle città minori) di ogni lista in ordine di anzianità costituivano il Consiglio. Abolita ogni estrazione a sorte mediante "imbussolamento" o "insaculaciò" (riconosciuta da antichi privilegi concessi alle città sin dal XIV secolo dai sovrani catalano - aragonesi), la nomina avveniva per rotazione annuale secondo l'ordine di lista: ogni anno il primo consigliere di ciascuna classe scadeva dal mandato, era iscritto in coda alla propria lista ed era sostituito da chi lo seguiva nell'ordine, e così via di anno in anno. Nel caso in cui veniva a mancare un nominativo, la sostituzione avveniva con la presentazione di una terna di persone da parte dei consiglieri in carica della rispettiva classe, e la scelta era di pertinenza dell'intero Consiglio.
I consiglieri in carica avevano uno stipendio; l'accettazione della nomina era obbligatoria salvo i casi di legittimo impedimento. Le votazioni avvenivano a maggioranza; in caso di parità avevano diritto di voto anche i tre consiglieri in carica l'anno precedente e decaduti. Quando si deliberavano ipoteche, vendite, contratti, spese rilevanti e straordinarie, la votazione avveniva col consenso del viceré, a Consiglio raddoppiato con il concorso di altri tre (o due) consiglieri di ciascuna classe secondo l'ordine di precedenza nelle rispettive liste. Il Consiglio raddoppiato veniva così a sostituire i precedenti Consigli generali e Consigli particolari previsti dall'antico ordinamento per le deliberazioni più importanti.
Con le nuove disposizioni era abolito il sorteggio per la nomina degli impieghi amministrativi delle città riservati ai "matricolati" o iscritti alle liste (obriere, clavario o tesoriere, padre d'orfani, capitano del porto, capitano d'artiglieria, veedore di polizia ecc.); la loro scelta avveniva per terne su proposta del Consiglio con l'approvazione del viceré. Restavano di esclusiva nomina regia le importanti cariche di mostazzaffo (l'amostassen spagnolo) o soprintendente all'annona e ai mercati, e di veghiere o vicario, responsabile della giurisdizione civile e criminale riservata alla città.
Data fondamentale per l'amministrazione e la politica isolana fu ancora il novembre 1847 quando le istituzioni sarde avanzarono la richiesta della "fusione perfetta dei territori isolani con gli Stati di terraferma piemontesi"; richiesta, accolta da Carlo Alberto il 30 novembre 1847, che decretò la fine dell'antico Regnum Sardiniae con le sue leggi e ordinamenti.
Ciò comportò una radicale trasformazione istituzionale che pose fine ai particolarismi locali e alla cessazione della distinzione tra comunità rurali (ville infeudate) e città regie.
Con il r. d. n. 295 del 7 ottobre 1848 fu varata, poi, la Riforma della legge comunale e provinciale in Sardegna che, istituendo un nuovo ordinamento comunale valido per tutti i territori del Regno di Sardegna, rappresentò, di fatto, l'atto di nascita del comune moderno nell'Isola. Questa legge sarà ripresa nel 1859 da Rattazzi in un provvedimento che ridefinì la struttura amministrativa statale e sarà incorporata, con poche modifiche, nella Legge per l'unificazione amministrativa del Regno del 1865.
Profili istituzionali collegati:
Consiglio comunitativo delle ville infeudate (Regno di Sardegna), 1771 - 1848, collegato
Soggetti produttori collegati:
Comune di Alghero
Comune di Bosa
Comune di Cagliari
Comune di Castelsardo
Comune di Iglesias
Comune di Oristano
Comune di Sassari
Comune di Tempio Pausania
Bibliografia:
M. BRIGAGLIA - A. MASTINO - G. G. ORTU (a cura di), Storia della Sardegna, 2. Dal Settecento ad oggi, Editori Laterza, Bari, 2006
G. SORGIA, La Sardegna spagnola, Chiarella, Sassari, 1987
B. ANATRA - A. MATTONE - R. TURTAS, L'Età Moderna, Dagli aragonesi alla fine del dominio spagnolo, Milano, Jaca Book, 1989
C. SOLE, La Sardegna sabauda nel Settecento, Chiarella, Sassari, 1984
F. C. CASULA, Dizionario storico sardo, C. Delfino, Sassari, 2001
Redazione e revisione:
Mura Simonetta, 2007/04/13, revisione